Mozzarella di bufala: coldiretti e la regione vogliono allargare l’areale Dop. Il consorzio: “necessario trovare conferme storiche”

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“E’ tempo di aprire una riflessione sull’areale della mozzarella di bufala campana Dop”. Con questa dichiarazione l’assessore regionale campano all’Agricoltura, Nicola Caputo, ha dato il via alla discussione sull’areale della mozzarella di bufala campana Dop, sottolineando la necessità di spingere la crescita di un prodotto bandiera del made in Italy che viene prodotto in due province, Caserta e Salerno, e solo in alcuni Comuni di Napoli e Benevento. La Regione Campania ha il sostegno della Coldiretti anche se, per il momento, il Consorzio di tutela frena, pur dicendosi disponibile ad affrontare la questione, purché sulla base di inoppugnabili verità scientifiche e storiche.

Secondo la teoria sostenuta dalla regione e da Coldiretti, l’areale è troppo piccolo per giustificare la denominazione “campana” visto che, oltretutto, l’area Dop comprende anche Molise, basso Lazio e parte della provincia di Foggia. “I numeri dicono che la possibilità di crescita del comparto è ancora ampia”, sostiene Coldiretti che cita anche il trend positivo degli ultimi anni, come emerso anche in occasione della presentazione dell’Osservatorio sulla Mozzarella di bufala campana Dop, realizzato dal Consorzio in collaborazione con Prometeia e UniCredit.

Per il momento si tratta ancora di parole; un’ipotesi ufficiale di nuova delimitazione dell’area della Dop non è stata ancora formulata dalla Regione. Ma appare scontato che l’obiettivo sia quello dell’allargamento all’intera provincia di Benevento, attualmente limitata ai soli Comuni di Limatola, Dugenta e Amorosi. In realtà, il progetto allo studio punterebbe all’estensione dell’areale Dop all’intera Campania. Una modifica davvero significativa se si considera che, per la precisione, la Mozzarella di bufala campana Dop si può produrre nella regione solo in tutti i Comuni delle province di Caserta e di Salerno, in una parte della provincia di Napoli (Acerra, Giugliano, Pozzuoli, Qualiano, Arzano, Cardito, Frattamaggiore, Frattaminore e Mugnano) e nei tre Comuni sanniti. Nel Molise c’è Venafro, in Puglia una parte dei Comuni della provincia di Foggia mentre il Lazio partecipa all’area Dop con una quota di centri delle province di Latina e Frosinone ma anche con Roma. “Non ne abbiamo mai discusso pubblicamente, l’assessore non ci ha mai chiesto finora di approfondire la proposta attorno ad un tavolo”, ha commentato il presidente del Consorzio, Domenico Raimondo. “Di sicuro, il Consorzio è l’unico ente deputato ad eventuali modifiche del disciplinare della Dop e, a differenza degli altri Consorzi italiani di settore, è l’unico ad avere un Comitato paritetico del quale fanno parte sia gli allevatori che i trasformatori. È il Comitato che può proporre al Consiglio del Consorzio eventuali modifiche, non altri. In caso di approvazione da parte del Consorzio, il deliberato viene trasmesso alle Regioni che fanno parte dell’area Dop e successivamente al ministero delle Politiche Agricole che a sua volta lo invia a Bruxelles cui spetta la decisione definitiva: il parere delle Regioni, infatti, non è nemmeno vincolante”. L’iter è insomma preciso, articolato e lungo e non consente di accelerare come forse vorrebbero Coldiretti e la Regione. Ma è necessario anche trovare conferme storiche alla modifica come prevede la normativa che disciplina Dop e Igp. “Se la presenza delle bufale è stata storicamente individuata tra la piana del Sele e quella del Volturno e non è mai stata estesa ad altri territori, come l’intera provincia di Benevento o di Avellino, è perché non c’erano le condizioni ambientali, di terreno, di umidità, di disponibilità di acqua e così via che avrebbero potuto consentirlo. Ragionare senza tener conto di questi fattori naturali, codificati da millenni, è sicuramente un limite”, ha precisato ancora Raimondo. “Sostenere, al contrario, che sia stato esagerato estendere l’area Dop anche al Basso Lazio vuol dire non conoscere bene la storia della mozzarella di bufala Dop: gli allevatori della provincia di Caserta, tra Castelvolturno e Cancello e Arnone, ad inizio secolo facevano la transumanza delle bufale in quelle zone, proprio come accade con le pecore. Per questo le bufale si sono ‘insediate’ anche nelle province di Latina e Frosinone”.

fonte: www.insiderdairy.com